
Un ritratto pieno di umanità
L’introduzione di Fred Lowen
all’autobiografia di suo padre
Alexander Lowen è mio padre.
Quando Alessandra Callegari – una counselor italiana che ho conosciuto nel maggio 2008, quando venne di nuovo a trovare papà – mi ha suggerito di scrivere una Prefazione all’autobiografia di papà da lei tradotta, all’inizio mi suonò strano. Pensai che non fosse il caso, visto che il mio legame professionale con lui era stato limitato. Ma, ripensandoci, ho capito che non solo era il caso, era anzi giusto. Dopo la morte di mamma avvenuta nel giugno 2002, ho conosciuto il dottor Alexander Lowen molto di più e assai più intimamente di chiunque altro. Certo, altri avevano conosciuto Al Lowen in modi diversi da me.
Sono nato nel settembre 1951, un mese dopo che mamma, Rowfreta Leslie Walker Lowen, e papà furono tornati da Ginevra, dove lui si era laureato in medicina. Papà dovette fare l’internato, il tirocinio, e passare l’esame di stato negli Stati Uniti per poter praticare come medico nel modo in cui voleva lui. All’epoca aveva l’idea di voler esprimere ed esplorare nel lavoro con la gente ciò che aveva imparato dal suo mentore Wilhelm reich nei primi anni Quaranta. Quella era la sua ragione di vita.
L’attività fisica, lo sport, il lavoro, il tempo libero erano sempre stati una passione per papà. Da direttore di atletica nei campi estivi in cui aveva lavorato negli anni trenta, nel periodo in cui insegnava al liceo, si era sempre goduto il proprio «lavoro», per non parlare della vita sociale. Io non c’ero, ovviamente, ma posso immaginare in lui una buona dose di narcisismo che gli usciva da tutti i pori. Ha sempre amato lo sport, dalla pallamano per le strade di Harlem a New York nel 1920, al nuotare per due chilometri al giorno quando andava d’estate nella sua casa, a una traversata a vela nell’Atlantico. E naturalmente faceva i suoi esercizi di bioenergetica ogni giorno, fino all’infarto che lo colpì a novantacinque anni, nel 2006.
In effetti, mamma e papà cominciarono la loro relazione nel 1942 con l’idea di scrivere un «libro di esercizi». Solo trentacinque anni più tardi, nel 1977, crearono il loro manuale di esercizi pratici, The Vibrant Way to Health (Espansione e integrazione del corpo in bioenergetica: Il titolo originale dice «una via alla salute vibrante»), un libro di ginnastica diverso da qualsiasi altro. Non riguardava il perdere peso, tonificare i muscoli o rafforzarli, aumentare la flessibilità del corpo, il rilassamento, né tanto meno una certa performance o immagine.
Anche se il lavoro corporeo bioenergetico può contribuire a raggiungere tutti questi obiettivi, il loro libro riguarda soprattutto il sentire: come ottenere una maggiore conoscenza e consapevolezza di sé aumentando il contatto con il proprio corpo. Sentendo meglio il proprio corpo, ovvero sentendosi meglio nel proprio corpo, si può cominciare a riconoscere e intervenire sulle molte distorsioni che tutti portiamo nei nostri corpi: tensioni croniche che bloccano il fluire dell’energia nell’organismo, il respiro, il contatto con la terra, la relazione con gli altri e la funzione sessuale; disarmonie, maschere emozionali, e una miriade di modelli di comportamento che si collegano alla struttura corporea e all’economia energetica.
Espansione e integrazione del corpo in bioenergetica non riguarda il diventare un «nuovo tu», ma piuttosto arrivare a conoscere chi sei veramente. Solo quando impari dapprima chi sei nel tuo corpo, piuttosto che quello che pensi di essere nella mente, il lavoro corporeo e l’analisi bioenergetica, insieme, diventano fattori di trasformazione. Non è un compito facile: richiede impegno, coraggio e tempo. Ma i benefici sono una salute migliore, un maggior benessere, il sentirsi meglio. Penso sia l’alchimia perfetta, un modo per trasformare la propria anima. Posso dire che questo lavoro arriva a toccare questi livelli perché lo affermano le tantissime persone che hanno lavorato con papà e descritto le esperienze di trasformazione della loro esistenza. E non poche hanno dichiarato che la bioenergetica ha salvato loro la vita.
Mentre molti caratteri psicopatici e truffatori possono creare esperienze trasformatrici eclatanti usando la seduzione e la manipolazione, papà lavorava onestamente e infaticabilmente per liberare l’anima e lo spirito. Liberare dal trauma, dall’ansia, dalla nevrosi, dalla depressione, dall’illusione, dal dolore cronico, dal comportamento autodistruttivo e dai mali più comuni è l’obiettivo della bioenergetica. Ma forse ancora più importante del guarire disagi e disfunzioni è l’obiettivo di aumentare le sensazioni positive e il sentirsi bene, accrescere l’energia e la voglia di vivere. Ed è una cosa tangibile, fisica, non solo un’idea.
Chiunque abbia conosciuto papà sa che gran lavoratore fosse! Il suo braccio destro di tanti anni, Ed Svasta, racconta che papà era in grado di chiedergli di chiamare una lista di pazienti per riempire un «buco» improvviso nei suoi appuntamenti della giornata. A casa, quando riceveva dei pazienti dopo cena, papà si alzava da tavola dicendo: «Bene, torno alle miniere di sale» e si imbarazzava di colpo all’idea che il paziente di turno potesse aver sentito. Ma nulla poteva tenerlo lontano dal lavoro. Riceveva di solito dal lunedì al sabato, spesso cominciando alle otto del mattino e finendo alle nove di sera; tre giorni a casa a New Canaan, tre giorni a New York City. Per molti anni fece due o tre viaggi lunghi all’anno e una dozzina o più di viaggi brevi, nei weekend, per condurre dei workshop in tutto il Nord America e nel mondo. Nel tempo libero restante scrisse quattordici libri.
Papà ha fatto almeno centomila ore di clinica, quasi tutte dopo il caposaldo The Physical Dynamics of Character Structure (il suo primo libro, che completava l’Analisi del carattere di Reich, e che divenne noto poi come Il linguaggio del corpo, e i successivi cinquant’anni di pratica, sviluppando le tecniche corporee e gli esercizi, furono di fatto affermazioni e conferme di quel suo primo lavoro. Tramite tutte quelle ore di prove ed errori, imparando dai propri sbagli e dai propri successi, papà sviluppò una comprensione chiara e i mezzi adeguati per vedere gli effetti e i modelli di struttura corporea e di comportamento causati da traumi emotivi, stress, tensioni, ansia, depressione. Dalla sua comprensione emerse il lavoro corporeo bioenergetico che offre alla gente strumenti potenti e del tutto naturali per alleviare il disagio emozionale e il dolore cronico e per aumentare la capacità di provare emozioni in modo calmo e rilassato e di riconnettersi con il corpo.
Anche se papà lavorò interamente entro l’ambito delle emozioni e di fenomeni che sfuggono a qualsiasi tentativo di misurazione scientifica, il suo lavoro è tuttavia scienza genuina. Papà, come Reich, era un risolutore di problemi, che secondo me è la vera e nobile base sia della scienza sia dell’economia di mercato capitalistica, in contrasto con gli sforzi infondati e maldestri, motivati dal desiderio di ottenere successi finanziari in avventure di tipo economico e scientifico, che troppo spesso creano problemi alla gente, più che risolvere, o anche solo riconoscere, quelli reali.
Io credo che il lavoro di papà rappresenti la via più chiara verso una moderna scienza olistica che abbracci tutta la nostra umana esperienza, e non solo quella piccola parte di fenomeni che possiamo misurare direttamente. Come credevano Reich e papà, limitare la scienza a quantità e realtà oggettivamente misurabili significa percepire la vita come una macchina: una macchina che possiamo totalmente comprendere e migliorare! Questa folle arroganza è proprio quella che porta a molti dei nostri problemi sociali, ambientali ed economici di oggi.
Usando il proprio corpo come laboratorio (come chiunque di noi può fare), papà sviluppò l’analisi bioenergetica in una forma di psicoterapia che è considerata «il miglior segreto mai custodito». Cinquant’anni più tardi è ancora all’avanguardia nel mondo per la sua efficacia. E il suo valore non è solo quello del suo fondatore: può essere appresa, praticata e insegnata. Ed è universale, dato che tratta del nostro corpo umano e delle sue funzioni, condivise da tutti, ovunque.
A papà piaceva scherzare dicendo che, mentre Copernico è noto per aver esplorato la natura dell’universo ed Einstein per aver scoperto le misteriose leggi della relatività, Al Lowen aveva scoperto i suoi piedi! Un umile rivendicazione, da parte dell’uomo che ha esplorato più di ogni altro la separazione mente-corpo: un fenomeno diffusissimo ma che è poco riconosciuto, di certo non è misurabile, e tuttavia risulta la peggiore afflizione del genere umano! Siamo una specie che è arrivata a credere di esercitare un benefico controllo sulla natura, nono? stante l’evidente degrado causato dall’uso smodato delle fonti di energia e delle tecnologie mirate a perseguire denaro, ricchezza e potere. Abbiamo negato la realtà della natura e il nostro posto in essa, così come abbiamo negato la realtà dei nostri corpi. abbiamo preferito credere che la tecnologia, la politica e il business avrebbero risolto i problemi sanitari, sociali e ambientali, nonostante l’ovvia realtà che la tecnologia, la politica e il business sono la vera fonte di questi problemi.
L’eterno conflitto di provare a influenzare un cambiamento continuando sempre con lo stesso atteggiamento, mantenendo lo status quo, è oggi la manifestazione di quella che Wilhelm Reich chiamava «peste emozionale». Anche se non riconosciuta come tale, è una vera piaga; una patologia di «irrigidimento» che avviene negli individui e nei popoli quando viene a mancare la crescita dinamica ed energetica e la struttura che ne risulta investe sempre più le sue energie già in calo nel mantenerla. È funzionalmente identica al bisogno di un individuo di nutrire il proprio ego con il potere, i soldi, l’immagine, nonostante (e come compensazione a) il poco sonno, una pessima vita sessuale, la mancanza di piacere, divertimento e appagamento.
È la natura stessa della separazione mente-corpo – il nostro tallone d’Achille – che sta alla base dell’incapacità delle persone di vedere e di rispondere a un ambiente, una salute, una qualità della vita sempre più in declino. Siamo tutti intrappolati in idee astratte alle quali vogliamo disperatamente credere, mentre cerchiamo stimoli sempre maggiori in una cultura che ci sta sempre più uccidendo e facendo impazzire. l’unica soluzione è giù, nei nostri corpi e nella realtà della natura; non su, nella testa, con l’arroganza e l’illusione egoiche di poter dominare e controllare la natura per perseguire i nostri ideali e l’immagine di noi stessi. Papà ha osservato e capito questo meccanismo meglio di chiunque altro.
Mentre scienziati e tecnici affermano che un giorno saremo capaci di misurare direttamente l’energia di una persona, o la sua mancanza, o anche stress, tensione, ansia; così come la qualità dell’orgasmo, la capacità di contenere le emozioni, il radicamento, o la brillantezza dello sguardo… sappiamo dal lavoro di papà con i processi energetici umani che noi stessi abbiamo l’innata capacità di osservare tutte queste cose chiaramente; e che possiamo guidare i nostri clienti in psicoterapia nel loro processo di riconnessione con i loro corpi. Ma tutto questo solo se la nostra visione non è stata distorta o non si è adattata a vederci e a credere in noi stessi nei modi richiesti dalla nostra cultura narcisistica e orientata al denaro, o dai nostri genitori troppo imprigionati nelle proprie nevrosi.
Papà credeva che un buon psicoterapeuta dovesse possedere tre qualità: conoscere il più possibile, essere umile e conoscere se stesso. lo scopo supremo dell’analisi bioenergetica è guidare una persona attraverso il processo innanzitutto di arrivare a conoscersi riconnettendosi con il proprio corpo, più che come concetto mentale nella propria testa; e poi permettere al corpo di avviare il processo di autoguarigione. lo strumento principe che un terapeuta utilizza è sia la mente (conoscere il più possibile) sia il corpo (il bisogno di conoscere il proprio sé emozionale, soggettivo, intuitivo). Non si può aiutare un altro se la propria visione e le proprie emozioni sono annebbiate, o influenzate dalla paura, dall’insicurezza, dalla bramosia.
fino alla fine, papà fu sempre coerente con ciò in cui credeva.
Come nessun altro che io conosca, lavorò su stesso praticamente ogni giorno della propria vita. Facendo gli esercizi ogni mattina, con un sonnellino quando necessario, provando piacere nel mangiare, stando con gli amici e con le persone che condividevano i suoi stessi interessi, e divertendosi in molte attività: lo sci, la vela, passeggiare, nuotare, fare giardinaggio e viaggiare erano alcune di quelle che gli piacevano di più. E soprattutto, aveva un vero e proprio entusiasmo per il proprio lavoro. Papà rappresentava bene la frase di Reich: «l’amore, il lavoro e la conoscenza sono le fonti della nostra vita. Dovrebbero anche governarla».
Pur con tutti i suoi successi nella vita e nel lavoro, dovette lottare, come tutti noi, con i suoi conflitti non risolti e i suoi comportamenti controproducenti. Ha spesso dichiarato di essere un narcisista, e lo posso vedere: la sua energia e la sua ambizione che alle volte lo spinsero al di là di sé e dei suoi sentimenti; la sua difficoltà rispetto a sua madre, che non riuscì mai a perdonare del tutto; i segnali contradditori di amore e accettazione, ma anche di aspettativa e di richiesta, che io e altri abbiamo sperimentato, sono delle battaglie che egli combatté per tutta la vita. Ma come ebbe a sottolineare, per qualcuno che possiede solo il venti per cento di sé guadagnare anche solo un altro dieci per cento vuol dire aver raddoppiato il gusto e il senso della propria vita! Nel caso di papà, ammesso che partisse da un cinquanta per cento, stava lavorando per raggiungere il cento per cento, tanto quanto mirava a raggiungere i cento anni di vita. Purtroppo è morto nel 2008 poco prima di compiere i novantotto. Ma per molti anni il suo desiderio era stato di vedere almeno il 2000!
Papà dimostrò appieno il suo profondo desiderio di vivere, fino alla fine. Quando passeggiava intorno alla sua casa, nel Connecticut, a novantacinque anni, diceva: «Non voglio lasciare questo posto». Eppure, da quando era arrivato a metà degli ottanta, diceva sempre che gli restavano «solo un paio di anni». la cosa non mi piaceva, e dopo averglielo sentito dire per ben dieci anni, quando sottolineavo che non era vero, lui replicava che dirlo lo faceva sentire meglio. In lui c’era un profondo desiderio di vivere ma anche una accettazione della vita e della morte, fianco a fianco. La bioenergetica è davvero diversa da qualsiasi altra cosa io abbia mai incontrato. E non ho nemmeno mai conosciuto nessuno come papà.
Maggio 2011