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Intervista a Umberto Galimberti

Intervista a Umberto Galimberti

La doppia vita

Riflessioni su filosofia e psicologia

di Alessandra Callegari

umberto galimberti 3Intervista a Umberto Galimberti del 5 settembre 2003, in vista della sua partecipazione alla terza edizione del Festival della filosofia a Modena (19-21 settembre) con una conferenza dal titolo “La doppia vita”. L’intervista è stata pubblicata in parte sul settimanale “Soprattutto” del 9 settembre 2003

Che cosa vuol dire parlare di filosofia, che possibilità abbiamo di parlare al grande pubblico, su quali temi e contenuti?

La filosofia oggi come oggi ha un grande successo, lo si vede dalle iscrizioni all’università (all’infuori della cattolica, perché lì si insegna teologia e quest’anno hanno avuto solo tre iscritti). dopo il naufragio della psicologia che è una scienza spuria, le domande di fondo se le pone la filosofia e siccome tutti quanti vogliono sapere che cosa ci stanno a fare al mondo, e perché muoiono ecc., queste sono domande filosofiche

C’è stato un tempo, in tutto il Novecento, in cui la filosofia si è raccolta nell’accademismo ed è diventata un discorso autoreferenziale. Oggi invece si espone molto al mondo e si pone i problemi che si pongo tutti, non dimentichiamo Aristotele che diceva ognuno di noi è filosofo per quel tanto che si pone delle domande.

In quest’epoca poi caratterizzata dal berlusconismo, che è una categoria antropologica…

In che senso?

Nel senso che è una figura… (non voglio neanche usare la parola spirito come diceva Hegel perché è troppo nobile)… la gente ridotta a scemenza desidera pensare. A Modena si fanno delle conferenze con personaggi che sono come delle rockstar: ho visto l’anno scorso, con gli altoparlanti in piazza per la gente, perché non ci stava.
Allora, dicevamo, c’è un’esigenza di pensare. Questo è il contraltare della volontà di ridurre gli italiani a non pensare, che è lo scopo eminente di ogni dittatura, di cui Berlusconi è un esempio. E non ho difficoltà che lei scriva queste cose.

I temi, dicevamo, sono: cosa ci facciamo al mondo, perché si muore…

Oggi non abbiamo più le domande che si poneva l’uomo del primo Novecento, e che la psicanalisi ha cercato di interpretare sostanzialmente su base sessuale, istintuale. Oggi abbiamo problemi di senso, perché il mondo della tecnica ci prevede tutti come funzionari di un apparato i cui scopi ci sono completamente ignoti, in vista di u suo sviluppo che molti chiamano progresso all’infinito o dove i miei interessi di uomo singolo non vengono minimamente presi in considerazione. Allora l’uomo singolo si trova a essere un ingranaggio di un apparato senza alcun senso che possa rispondere alle sua esigenza di significato, di gioia, di identità. E qual è il luogo eminente per porsi delle domande? La filosofia.

Ma al di là dell’evidente successo di un appuntamento come quello di Modena il signor Rossi della situazione in che misura riesce a trovare nel filosofo delle risposte diciamo comprensibili in termini del suo linguaggio?

La filosofia non ha solo il compito di parlare agli uomini ma anche quello di educarli a sollevarsi un momentino rispetto alla realtà in cui si trovano. E quando c’è un desiderio da parte delle folle, c’è anche la capacità di arrivare alla comprensione, perché la comprensione è frutto dell’interesse, ed è quello che gli insegnanti non hanno mai capito: se uno non ama la scuola è perché non è interessato. perché l’interesse si scatena sulla base di movimenti, di esigenze sommovendo le esigenze di coloro che ascoltano. La gente ha un desiderio non di conoscenza, ma proprio di senso. E allora arriva a capire, Oggi la filosofia si occupa delle cose di cui si occupano tutti. Lei prima ha citato il corpo, l’anima, il mondo della vita, gli affetti, le emozioni, l’intelligenza com’è coniugata con l’apparato emotivo,

…che sono anche argomenti della psicologia…

Sì, con la differenza che la filosofia ha degli strumenti, la psicologia non li ha, perché è bloccata da un lato, se guardiamo alla psicanalisi, dalla sua metafora di base che è la sessualità che oggi non è più il tema, ed è sostanzialmente libera, dall’altro si è sviluppata come psicologia sperimentale, confondendo i topi nel labirinto con gli uomini

La sessualità è davvero libera oggi?

Lo è nel senso che non è proibita: se due si baciano per la strada nessuno ha da ridire. Ma naturalmente, quando si concede una libertà totale, subentra un’autolimitazione per angoscia. Perché se io sono completamente libero, non avendo più punti di riferimento mi trattengo per angoscia. Quindi c’è una autolimitazione della sessualità, ma non una limitazione imposta, dall’alto.

Lei è molto noto al grande pubblico in quanto scrive su giornali e periodici molto diffusi: però scrive come ‘psicologo’ più che come filosofo. Come mai?

Dipende dall’uso cattivo che fa Repubblica di me, perché come tutti i giornali dividono i soggetti secondo i propri interessi e mi trattano da psicologo, dopo di che cerco di sollevare il discorso, però è quello di cui mi lamento

Resta il fatto che non c’è nessun giornale che abbia una rubrica ‘risponde il filosofo’… avrebbe senso?

Certamente, e anzi sarebbe necessario. L’ha fatto un po’ Donna facendomi fare sei interviste, con risponde il filosofo, ma una rubrica non c’è. Tant’è che oggi nascono le scuole di consulenza filosofica, e c’è la figura del counselor filosofico.

Modena come appuntamento trainante?

Sì, è stata un’idea di quella donna eccezionale che è Michela…., che ha captato un sentimento diffuso che è la voglia di conoscere e di sapere. Anche se poi resta un luogo tra il folcloristico e il colto. Comunque molto più nobile di Mantova, che è un business degli editori che lanciamo gli autori che devono presentarsi in autunno, Modena invece è libera da questo condizionamento delle case editrici. E la gente affolla questa città, che è molto bella, gira per le varie conferenze ascolta, giudica

Un pubblico di che età?

C’è di tutto, dai 15 a i 60 anni.

La richiesta di senso viene soprattutto dai giovani o dai vecchi?

Dai giovani, perché non capiscono più niente, perché l’eccesso di libertà di cui godono è una falsa libertà che è stata data loro, in cui il concetto di libertà viene confuso con la revocabilità di alcune scelte. Per cui se sono incinta posso abortire, se sono sposato posso divorziare, allora quando tutte le scelte sono revocabili non si crea nessuna biografia. Riconoscere un senso vuol dire vedere la storia della propria vita: se non vedo questa storia, vado in angoscia.

umberto galimberti“La doppia vita” è il titolo della sua conferenza a Modena: che cosa vuol dire?

Noi pensiamo sempre di essere noi soggetti della vita, mentre la nostra vita è sostanzialmente calibrata dalle esigenze della specie, che è l’altra vita che ci abita. Per cui tutti i nostri progetti, sogni, ideazioni, la stessa ricerca di senso si scontra con il fatto che c’è una vita sotterranea che è l’esigenza della specie, che ci promuove come essere sessuati per il tempo necessario per la riproduzione, poi ci estingue la sessualità e l’aggressività perché non serviamo più.
Questa seconda vita, ignorata, bisogna che la gente se la ricordi. E allora se se la ricordasse vedrebbe la vecchiaia in un’altra maniera, vedrebbe la giovinezza non come il luogo in cui o vinco o fallisco, ma in cui cerco di dare un senso, ma poi a cadenzare il senso finisce con essere la vita biologica, E allora rispetto alla vita dell’Io c’è una vita biologica che ci condiziona, che ci dà le date, che ci dà la potenza e l’impotenza, non solo sessuale, e questa seconda vita, che è quella della specie, di cui noi siamo sostanzialmente funzionari, viene completamente dimenticata e non fa da contraltare alla vita che noi conduciamo come soggetti, come Io, il quale è attraversato da un desiderio infinito, e quando non lo realizza allora diventa nevrotico, perché dimentica che i suoi desideri sono pie illusioni, ma la macchina vera è quella biologica…

…che è un altro modo per parlare del corpo

…che è la sede della vita biologica, sì.

Poi hanno inventato l’anima…

…e hanno inventato la scissione.

A proposito di corpo: le cosiddette psicoterapie corporee, sono state considerate di serie b, ultimamente di moda. Secondo lei è vero che una psicoterapia in realtà non può che essere corporea?

Ho già scritto in un articolo che gli psicanalisti non toccano i copri, non se ne occupano… effettivamente è anche pericoloso, vista la nostra cultura
Una volta ho conosciuto una psicanalista sudamericana che mi chiedeva ma voi non toccate? No. Noi non possiamo fare psicoterapia senza toccare. Ma voi avete un concetto di corpo un po’ più libero del nostro, il nostro è quello di un corpo incatenato. Io sono convinto che la corporeità deve entrare nella psicoterapia. Nel senso che intanto il paziente ipotizzo che capisce che cos’è una carezza paterna e una carezza di desiderio, un abbraccio di desiderio e un abbraccio paterno, comprensivo, empatico. Il corpo deve entrare, perché insomma se, come dice bene Freud, l’inconscio sono le funzioni corporee, cosa facciamo, lo togliamo dalla psicoterapia? Però queste cose non entrano nella nostra cultura non vengono accettate. Perché la psicanalisi ha un grande limite, è una terapia nordica, pensata per nordici, che non si toccano, non è una terapia mediterranea, infatti penso che in Grecia non abbiano bisogno di psicanalisi primo perché c’è luce, perché si toccano, perché si abbracciano , si accarezzano, un po’ come in Italia meridionale… Certo, una volta che il corpo è identificato con il sesso è chiaro che una carezza diventa sessuale, ma questo è un po’ l’equivoco di Freud. Ma quello che andava bene nel primo Novecento non è detto che vada bene oggi. Il corpo deve entrare nella psicanalisi: si tratta semmai di vedere i modi, perché per far entrare il corpo bisogna avere anche degli psicanalisti corretti, e purtroppo molti non lo sono, o lo fanno entrare in un’altra maniera…

Nella sua Garzantina di Psicologia lei ha dato uno spazio a Wilhelm Reich che molti altri autori non gli riconoscono.

Reich aveva capito tante cose. Aveva capito che le tensioni sono corporee, che il corpo è il luogo eminente di quello che noi chiamiamo inconscio in una maniera un po’ sofisticata, ma in realtà sono pulsioni corporee, l’aggressività, la sessualità sono faccende di corpo, e quindi si è messo a curare il corpo. Dopodichè ha avuto quella vita disgraziata che ha avuto, non si sa se perché usava i corpi o perché era comunista (credo soprattutto perché era comunista). Tuttavia lo includerei a pieno titolo tra i grandi della psicanalisi, anche se è stato censurato,  imprigionato, messo  al bando…

Adesso c’è una riscoperta, sia di Reich che del suo lavoro.

Oggi c’è una riscoperta, però all’interno dei fenomeni della new age, per cui il corpo viene sì toccato, per sentire le emozioni, ma sempre in una tonalità tutto sommato spirituale. invece no, il corpo deve entrare brutalmente in quanto corpo, non in quanto inserito in una filosofia da new age.

Quindi Reich andrebbe ricuperato come psicoterapeuta?

Certo, purché da parte di psicoterapeuti senza false intenzioni, visto che il corpo è un luogo ‘equivoco’.

reichLa bioenergetica è una buona erede di Reich? Anche come impianto teorico,  per il collegamento che fa Lowen fra lettura del corpo e carattere, fra carattere e la storia del bambino nei suoi primi anni di vita?

Non c’è dubbio, addirittura io la svincolerei dalla storia del bambino, perché il corpo è sempre il motore vivente della vita. Dopodiché è anche vero che per agire sul corpo non abbiamo regole. E anche i bioenergetici non so quanto sono preparati. Perché non dipende soltanto dalle scuole e dalla loro formazione, il problema grosso è la nostra cultura, che è non corporea, tutta spirituale. Del corpo abbiamo fatto un santuario ideologico, una sorta di manichino, giocato sul piano dell’estetica, non su quello della comunicazione. Per quanto formati, insomma, i terapeuti non possono prescindere dalla cultura in cui vivono. che è da corpo negato, per cui il paziente diffida.

Ma uno che va da un bioenergetico fa una scelta di un certo tipo, non ci va a caso…

Però il corpo  è un luogo così equivoco, che le mosse lì sono ancora più pericolose delle parole. La parola si può rettificare, il gesto no. Bisogna andare a colpo preciso.
La doppia vita è la riscoperta che siamo anche vita biologica ma in cui salviamo gli interessi della specie. Non ci sono due soggettività, una che dice io e una che dice specie. Noi viviamo in base all’io e sviluppiamo i desideri dell’io, ed ecco che nasce il desiderio infinito. La giusta misura è ricordarsi che siamo anche esseri biologici e funzionari al servizio della specie: siamo al mondo per riprodurre la specie.. La specie è molto più forte di noi, non c’è dubbio.

E oltretutto, anche dal punto di vista dell’ambiente, dimostriamo che questo dato – la nostra vita biologica – viene continuamente rimosso.

La rimozione del fatto che siamo funzionari della specie è che non abbiamo più il giusto equilibrio. L’uomo preculturale si vive come elemento della specie, muore sazio della sua vita. Oggi noi moriamo stanchi della vita, siamo sazi, abbiamo perso il limite, infatti i vecchi sono tutti incattiviti., perché vogliono vivere con i loro progetti che sanno naufragare. Vivono l’angoscia di morte. Non hanno la saggezza di dire io devo morire.
Pensano di morire perché si sono ammalati, invece si ammalano perché devono morire. Questa dimenticanza della dimensione della specie è quella che non dà limite all’io e un io senza limite va incontro a dei disastri, si accanisce contro l’inevitabile.

Pensa che questo discorso venga  recepito?

Con molta difficoltà e con molta ostilità. Perché la nostra cultura è molto egoica, molto volontaristica, si sviluppa nella forma dell’autoaffermazione e il corpo come funzionario della specie recalcitra a tutto questo. Il fenomeno spaventoso è la depressione, che non è altro che la frustrazione di un desiderio o di un’aspirazione, è un non farcela a stare all’altezza dei nostri desideri. E se la depressione intacca ormai il 50% della popolazione occidentale, come mai succede? perché il desiderio è esagerato.  Se ho desideri infinti, è chiaro che la frustrazione è dietro l’angolo.

Possono capire di più i giovani o gli anziani?

I giovani perché se ne fregano. L’anziano vede lo spettacolo della morte davanti a sé, il giovane non ha la più pallida consapevolezza di quest’evento. C’è una rimozione totale della morte nei giovani. E quindi sono disposti ad accettare di essere anche funzionari della specie, perché questo si accompagna alla sessualità di cui sono portatori, lo accettano perché non li riguarda. Mentre il vecchio che registra la caduta della sessualità – non del desiderio –, l’aggressività della morte, e la propria impotenza, s’incazza. E non lo vuol sentire. Infatti la nostra cultura prevede il giovanilismo all’infinito, che è una delle cose più aberranti. il vecchio che ha accettato la biologia si vede dagli occhi, ha lo sguardo quieto, ma se si guarda in giro vede tanti vecchi dagli sguardi incazzati, perché si sono alimentati del desiderio infinito dell’io.

Come glielo si può dire?

Glielo si dice e buona notte. Inutile dire le parole di conforto: ‘ma dai che sei giovane’, sono tutte palle, Ma il vecchio ascolta solo quelle parole lì. Parole di consolazione, quelle che Eschilo chiama “le cieche speranze”.

umberto galimberti 2Questo discorso sulla morte e sulla capacità di accettarla, gli orientali lo fanno da sempre, sottolineando appunto che bisogna fare un passaggio oltre,  oltre l’io…

Certo, la morte non è mai accettata dall’io, che non vive mai la morte. Per questo l’io deve andarsene.

In occidente, allora, c’è un modo per dire queste cose?

Il problema è che non abbiamo il linguaggio. L’abbiamo perso con i greci. I greci infatti non chiamano mai l’uomo ‘uomo’, anthropos o aner, ma lo chiamano sempre throtos o thne, che vuole dire mortale. I greci parlano di ‘mortali’, non di ‘uomini’. Loro avevano la consapevolezza della morte. Con l’estinzione della cultura greca e con l’avvento della cultura ebraica, che poi ha dominato l’oriente e l’occidente, abbiamo perso il concetto di morte, L’immortalità della anima è uno dei desideri infinti. Quindi viviamo nell’angoscia, perché avevano ragione i greci, noi siamo mortali. Socrate è capace di morire, Epicuro è capace di morire, Gesù Cristo per morire fa un casino che la metà basta,…

E soprattutto risorge…

Risorge, quindi non crede nella morte.

Tornando all’analisi del carattere: ha senso parlare di carattere e utilizzarlo oggi come strumento di conoscenza?

Sì, il carattere – che per Reich è una gamma di apparati nevrotici –non è modificabile, è semmai adattabile, e può essere adattato meglio o peggio al mondo della vita. Tu sei questo e non sei l’altro, dice Reich. Sei un narcisista, sei un isterico, sei quello che sei. E a partire da quello che sei, vedi un po’ quali sono le modalità per stare meglio anziché peggio, invece di fare la guerra contro te stesso, di sì a te stesso e regolati a partire da quello che sei, perdonandoti tutte le cose che sono il tuo carattere, quello che tu sei. E qui la psicanalisi è molto debitrice a Nietzsche: “diventa ciò che sei”. Invece di fare la guerra con se stessi, rispondere a quelli che non ci accettano per via del nostro carattere, dire di sì e accettare anche gli aspetti più sgradevoli. Ebbene sì, io sono anche questo. E al tempo stesso, con l’attività terapeutica corporea intervenire su quelli che lui ritiene siano fasce muscolari, percorsi di tensione, che consentono di allentare quell’aspetto ‘eccessivo’ del nostro carattere .

L’analisi del carattere è uno strumento utile oggi?

Sì, e dovrebbero farla tutti gli analisti, perché se viene un ossessivo è inutile pensare che diventi un isterico o viceversa. Allora se tu sei un ossessivo sarai più bravo di tutti a correggere le bozze, mentre se sei un isterico non dovrai fare quel lavoro lì, è sempre questione di compatibilità con il tuo carattere e con quello che puoi fare. E questo carattere va individuato. Quello che oggi la psicologia generale chiama personalità altro non è che il carattere. Che è immodificabile, e grazie a dio è immodificabile. allora io sono individuato dal mio carattere, se fosse modificabile potremmo diventare tutti dei robot.

C’è qualche autore che ha proseguito il discorso e lo ha ampliato rispetto a Reich e Lowen?

No, perché poi da Reich è venuta fuori quell’altra dimensione che si chiama psicosomatica, per cui oggi ci sono molti psicosomatisti di orientazione medica più che filosofica e allora lo specifico di Reich è andato perso, e dopo Lowen si è estinto tutto (a parte forse Steven Johnson) ma in realtà quello che si è sviluppato è stata la psicosomatica. Riza psicosomatica, che è la perversione del reichismo. La psicosomatica è un errore perverso perché sostiene che ci siano una psiche e un corpo e poi cerca di trovare i collegamenti fra queste due cose. In realtà la psiche non è altro che il corpo.

Sartre lo dice chiaramente: il corpo è l’unico oggetto psichico. Non c’è nient’altro. E chiaro, qui ci vuole tutto il corredo della fenomenologia.

Come recuperare oggi Reich?

Bisogna studiarci su. L’importante è salvarsi dalla new age e dalla psicosomatica. E poi bisogna produrre della letteratura, è quello che manca. Perché gli ebrei sono famosi? Perché hanno la Bibbia, se non avessero la Bibbia sarebbero come gli afghani.