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Meditazione e mindfulness

Meditazione e mindfulness

Alla scoperta del vero sé

Come imparare a stare in contatto con il qui e ora, in quiete e silenzio

buddha mezzoMeditare non è un semplice metodo di rilassamento, corporeo o mentale; e non s’impara in tre lezioni via internet ma con l’esercizio, la pratica, la disciplina. S’impara, davvero, dopo anni. E questo vale soprattutto per noi occidentali, tenuto conto della vita che facciamo, dell’ambiente in cui viviamo, degli stimoli e dello stress cui siamo di continuo sottoposti.

È importante perciò sottolineare che la meditazione – disciplina che tocca vari livelli del nostro essere e può portarci molto profondamente dentro noi stessi, a contatto con la nostra ‘anima’, la nostra ‘essenza’ spirituale, il nostro ‘sé superiore’ o come altro vogliamo chiamare la parte di noi capace di interrogarsi sul mistero dell’esistenza – va vista come un percorso di conoscenza di sé: paragonabile, fatti i debiti distinguo, a un processo di analisi o psicoterapia. Il che vuol dire che richiede la volontà di mettersi in gioco, di conoscersi a fondo e trasformarsi.

Meditare, nel senso in cui lo intendiamo, non vuol dire dunque solo “considerare a lungo e attentamente, fare oggetto di riflessione, concentrarsi pensando o riflettendo”, come si legge nel dizionario di italiano, ma anche “liberare la mente dai pensieri, ottenere il rilassamento mentale, creare uno spazio vuoto dentro di sé, raggiungere una dimensione più profonda del proprio essere”. E molto altro ancora. Parlare di ‘vuoto’ e di ‘liberarsi dai pensieri’ può suonare assurdo, data l’importanza che diamo al pensiero e alla ragione, con cui noi occidentali ci identifichiamo. Eppure… si può sperimentare. Basta voler provare, senza pregiudizi.

I grandi maestri di Oriente e Occidente

Osho

Per imparare a meditare ci si può rivolgere agli insegnamenti delle grandi tradizioni spirituali, dal Buddismo all’Induismo, dal Cristianesimo all’Islam, e ai grandi maestri che ci hanno indicato la via: da Maharishi Manesh Yogi con la sua Meditazione Trascendentale, a Osho (nella foto a sinistra) con le sue Meditazioni Dinamiche, alle tecniche yoga di Paramahansa Yogananda, per non citarne che alcuni. O seguire le tappe della meditazione buddista – Vipassana, Zazen e Nyingma tibetano – o ancora le meditazioni in coppia come quelle che proponeva Claudio Naranjo (nella foto a destra) nel suo programma SAT.

E per cominciare si possono utilizzare tecniche di base, come quella di sedersi in posizione rilassata a occhi chiusi, in un ambiente confortevole e silenzioso, e semplicemente cominciare a ‘osservare’ quello che ci succede: nel corpo, da cui ci provengono le sensazioni, ascoltando per esempio il respiro e il battito cardiaco, e via via osservare le emozioni e i pensieri. È osservando – come se fossimo dei ‘testimoni’ di noi stessi – che a poco a poco si entra in contatto con la nostra capacità di rilassarci profondamente e, in questo rilassamento corporeo e mentale, di ‘entrare’ dentro di noi, di essere nel ‘qui e ora’. Poi… ogni scoperta è possibile.

 

Ed è quello che insegna anche la mindfulness proposta da Jon Kabat-Zinn (nella foto sotto), che pur derivando, appunto, dagli insegnamenti del Buddismo, dello Zen e dalle pratiche di meditazione Yoga, si è sviluppata in Occidente e diffusa ormai come modalità di prestare attenzione, momento per momento, nel qui e ora, in modo intenzionale e non giudicante, per trasformare – ma anche prevenire – il disagio e il malessere interiore e raggiungere un’accettazione di sé attraverso una maggiore consapevolezza della propria esperienza.

Le conferme delle neuroscienze

Di meditazione hanno cominciato a interessarsi, negli ultimi decenni, anche gli scienziati e i medici occidentali, appurando che ‘meditare fa bene alla salute’. Lo confermano gli esperti in neuroscienze, che stanno compiendo numerose ricerche per indagare le tecniche meditative su basi scientifiche – nel senso di sperimentali -, verificandone gli effetti sulla fisiologia del cervello e le influenze sull’equilibrio salute-malattia.

Da un lato, può sembrare un tentativo per dare un imprimatur di ‘laicità’ alla meditazione e svincolarla dalle diverse religioni cui viene spesso collegata, distinguendo tra spiritualità e adesione a una chiesa; dall’altro, è anche un modo per appropriarsi della meditazione come terapia, visto che determina un rilassamento profondo, che non ottunde l’attenzione ma anzi la potenzia; che consente un maggior controllo dei circuiti neuroendocrini, specie quelli dello stress; e garantisce una maggiore coerenza cerebrale, con migliore comunicazione tra i due emisferi e capacità di adattamento.

Sono scoperte, peraltro, che possono servire più per convincere chi dubita che per avvalorare l’esperienza di chi già medita. È vero, infatti, che le neuroscienze sottolineano che esiste una relazione biunivoca tra mente e corpo, e i dati che emergono dagli esperimenti avvallano sia i sistemi di ricerca meditativa orientale che quelli di psicologia somatica occidentale. Ma è anche vero che la qualità di queste esperienze è molto diversa a seconda dei metodi usati. E, soprattutto, la verifica scientifica – del fatto che, per esempio, nel corso della meditazione si attivi questa o quell’area cerebrale – non è in grado di spiegare qual è il vissuto interiore, soggettivo, della persona, né il contenuto profondo della sua esperienza, che sono invece la cosa più importante.