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Il “non so” e il controllo

Il “non so” e il controllo

Un’esperienza indimenticabile

Perdersi nel vuoto e ritrovarsi: un assaggio di infinito

di Alessandra Callegari

Ho sempre avuto molta paura di non sapere. E’ la paura del non controllo, di non avere la situazione in mano. Una paura diffusa, e per lo più inconscia.

Ne sono divenuta consapevole solo dopo aver cominciato a lavorare su di me, e nemmeno subito. Ci sono voluti degli anni, e un lavoro sempre piu’ profondo, per riuscire a rendermi conto di quanto grande fosse la mia paura di non avere il controllo sulla realtà che mi circondava. Un controllo, va sottolineato, inteso come capacità del tutto razionale, a livello cognitivo, di conoscere, di capire e di gestire la realtà

Questa mia illusione si è rivelata del tutto come tale, e in una modalità particolarmente forte, durante un’esperienza accadutami alcuni anni fa: quando un’amica, Kristin, con la quale condividevo un percorso di ricerca spirituale, mi ha “accompagnata”, a sua volta inizialmente in modo inconsapevole, a contattare e affrontare il mio “non so”.

Stavamo commentando una condivisione fatta poco prima, durante un lavoro di gruppo, e Kristin mi ha offerto un rispecchiamento sul fatto che in ogni circostanza dimostravo di dover tenere sempre sotto controllo tutta la situazione. Io gliel’ho confermato, spiegandole che questo bisogno si esplicitava nella necessità “razionale” di inserire ogni nuovo elemento d’esperienza in una sorta di “cornice” mentale che lo racchiudeva e ne delimitava i confini, consentendomi di vagliarlo, elaborarlo, metterlo a confronto con gli altri elementi già presenti nel quadro, eccetera. Era insomma il mio modo di “ragionare” e di “inquadrare” la realtà.

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Kristin mi ha sollecitato allora a interrogarmi sulla possibilità di non esercitare questo controllo, anzi di accettare di “non sapere”, provando a “sentire”, senza razionalizzare, cosa significava per me.

Così ho fatto. Ho chiuso gli occhi e ho cominciato a immaginare di trovarmi in una situazione in cui non sapevo dov’ero, o cosa sarebbe accaduto, e in cui pertanto non avevo alcun controllo. E a poco a poco mi sono sentita – e vista: era un’esperienza molto reale!!! – in piedi su un pezzetto di terra piccolissimo, poco piu’ grande dei miei piedi, e intorno non c’era nulla. C’era solo un grande buio, o vuoto – anche questo non sapevo – che mi circondava: intorno, sopra, sotto, di fianco, davanti, dietro.

Era estate e ricordo con assoluta precisione che anche nella visualizzazione ero vestita con una maglietta e dei pantaloncini, a piedi nudi. Ho continuato a tenere gli occhi chiusi mentre Kristin mi ha invitato a stare nel sentire. Ho cominciato a piangere, mi sentivo impotente e questo era terribile.

Non sapevo cosa fare. Vedevo i miei piedi che si aggrappavano a quel fazzoletto di terra, ed era l’unica realtà alla quale potevo fare riferimento. E quel “non sapere” incombeva  su di me con il peso di un macigno. Ero spiazzata, come paralizzata dalla paura.

Ho sentito la voce di Kristin che mi chiedeva “che cosa fai?”. E nonostante la paura ho deciso che non potevo fare altro se non buttarmi: in qualche modo era l’unica cosa “ragionevole”, piuttosto che continuare a stare lì bloccata.

Mi sono buttata in quel buco nero, come se fosse una voragine o un pozzo. La sensazione di non sapere, di totale impotenza, mi ha accompagnata anche in quel salto nel vuoto. Ma dopo poco – istanti, minuti, non so nemmeno questo – la sensazione fisica di “cadere” si è trasformata in quella di “galleggiare” e il vuoto che mi circondava totalmente non era un vuoto ma una sorta di spazio buio privo di forma, di profondità, di qualsiasi elemento d’identificazione. Ero come sospesa nel nulla e il mio corpo diventava sempre piu’ leggero.

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Nel contempo anche la paura del non so, la paura del non controllo – in sostanza, la paura della morte – che mi aveva attanagliato e indotto a “buttarmi” si è trasformata in qualcosa di diverso. Via via che diventavo piu’ leggera e galleggiavo, la paura svaniva e lasciava il posto a una sensazione di leggerezza. Il non sapere diventava una liberazione. Come se spogliarmi delle mie certezze e del dover controllare si traducesse in un alleggerirmi, liberatorio e pieno di dolcezza.

La mia vita si allontanava: le situazioni, le persone, gli attaccamenti, le emozioni, le cose… tutto quello che mi era sembrato fino a quel momento fondamentale perdeva senso e importanza, lasciandomi leggera, serena, in una condizione e modalità totalmente nuova per me. Era come se non ci fosse piu’ “bisogno” di fare nulla, di volere nulla, di desiderare nulla… Persino l’amore per il mio compagno si stava “sciogliendo”, come se stessi perdendo la passione, l’attaccamento, la carica emotiva, e mi ritrovassi solo un’immensa pace dentro, un amore infinito e indefinito, sconfinato e universale.

Galleggiando mi sono ritrovata come davanti a una porta, anzi a metà di un passaggio, E lì qualcosa mi ha come riportato indietro, con la sensazione di avere ancora qualcosa da fare. E mi sono “svegliata”.

Sono rimasta a lungo in una sorta di “trance”, incapace di parlare, tale era l’emozione di quell’esperienza. Sentivo di aver incontrato la morte, e di averne “assaggiato” la dolcezza.