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Imparare un linguaggio comune

Imparare un linguaggio comune

La diversità arricchisce la relazione

Lavorare sul carattere aiuta a vivere meglio con gli altri

La diversità, dice giustamente la saggezza popolare, è il sale della relazione. Ma crea una serie di difficoltà di cui spesso non siamo nemmeno consapevoli. La diversità maggiore, che in coppia va al di là del genere maschile e femminile, è quella legata al carattere o personalità, quella parte di noi che viene a volte indicata come ego a fronte di un più profondo, vero, essenziale. Se vogliamo davvero risolvere i nostri problemi nella relazione di coppia, è su questo che proponiamo di lavorare. Sul nostro carattere, innanzitutto. E possibilmente, insieme, sul carattere di entrambi, con l’obiettivo innanzitutto di capire e sentire che la diversità comporta accettazione. Ognuno di noi infatti è convinto della evidenza della propria verità e pensa che tale evidenza sia universale, ma siamo chiamati a fare un piccolo (o grande) sforzo per capire che non è così.

La mappa che può servire meglio di altre come chiave di lettura all’interno della coppia è il BioEnneagramma®, che propone una visione più profonda su chi siamo e qual è il nostro potenziale, portando, nello stesso tempo, chiarezza su ciò che pensiamo di essere e non siamo, insegnando la tolleranza e la comprensione per noi stessi e gli altri e offrendo uno strumento concreto di trasformazione.

Ma che cos’è il carattere?

È una sorta di “sovrastruttura”, paragonabile a un’armatura o corazza invisibile che rappresenta la cristallizzazione delle nostre difese infantili nel processo di adattamento precoce con l’ambiente. Una struttura che formiamo nel corso dei primi anni della nostra vita, costruita – in modo del tutto inconsapevole – per proteggerci dalle “ferite” che riceviamo dall’esterno, dovute alla nostra naturale sensibilità e fragilità infantili, e che diventa, irrigidendosi, la personalità con cui ci presentiamo al mondo e sulla base della quale interagiamo con gli altri.

In altre parole, è il modo migliore che abbiamo trovato, da piccoli, per gestire il nostro essere nel mondo e rispondere agli imput provenienti dall’esterno: ovvero, fondamentalmente, alle esperienze vissute in famiglia, in primo luogo con nostra madre, poi anche con nostro padre, eventuali fratelli, altri componenti la famiglia, ecc. Anzi, stando agli studi sulla psicologia dello sviluppo, il carattere si forma già a partire dalla nostra vita intrauterina, in risposta alle esperienze derivanti dall’essere in relazione con nostra madre nella sua pancia.

In seguito, partendo dai dati del nostro dna, il patrimonio genetico che ci deriva in parti uguali dai nostri due genitori biologici, tutte le esperienze, grandi e piccole, che facciamo dalla nascita – primo e principale evento traumatico della nostra esistenza – in poi diventano altrettante occasioni per “forgiare” il nostro carattere. Il modo in cui siamo stati accolti quando siamo venuti al mondo, come siamo stati allattati e svezzati, il tipo di attaccamento a nostra madre, come abbiamo cominciato a camminare e a esplorare l’ambiente, il modo in cui ci hanno parlato i nostri genitori e abbiamo sviluppato le nostre risposte corporee e verbali… tutto questo e molto altro contribuisce a creare il nostro carattere.

Sullo “zoccolo duro” del temperamento iniziale, derivato dal patrimonio genetico, si innestano via via le nostre modalità di risposta specifiche, che si sovrappongono una dopo l’altra fino a formare una vera e propria “struttura”, un modo di essere e di agire nel mondo che è già ben riconoscibile intorno ai sei anni. Basti pensare a come sono diversi i bambini di una prima elementare (in realtà, le differenze si colgono facilmente anche prima): c’è chi è timido e chi spavaldo, chi aggressivo e chi timoroso, chi loquace e chi silenzioso, chi riflessivo e chi giocherellone, e così via.

Insomma, a seconda dell’ambiente familiare – in senso lato: non solo genitori ed eventuali fratelli – nel quale siamo vissuti, formiamo la nostra personalità. E conta molto, in questo processo di costruzione, il modo in cui abbiamo interagito in particolare con i nostri genitori, che a loro volta, ovviamente, hanno avuto un loro carattere (formatosi a sua volta in relazione alla loro storia familiare), sulla base del quale hanno agito e interagito  e con il quale ci è toccato fare i conti.

Siamo tutti frutto della nostra storia

Chi ha avuto una madre affettuosa, premurosa, attenta, ha avuto un’esperienza molto diversa da chi ha avuto una madre anaffettiva e fredda; o da chi ha avuto una madre depressa, oppure malata, o assente. E chi ha avuto un padre autoritario, rigido, severo, ha avuto un’esperienza totalmente diversa da chi lo ha avuto comprensivo e sensibile; così come è diversa l’esperienza di chi ha avuto un padre prepotente, o violento; o che invece non c’era mai. E ancora diversa l’esperienza di chi ha perso un genitore da piccolo, o è vissuto lontano dalla famiglia, con i nonni o altre figure di riferimento.

E che dire della differenza tra chi è figlio unico e chi ha fratelli? Tra chi è il primogenito e chi l’ultimo? Tra chi ha fratelli femmine e chi maschi? Tra chi è vissuto in un ambiente urbano e chi in mezzo alla natura?

La nostra storia, purtroppo, non è stata sempre rose e fiori, anzi. Una storia che ci ha segnato e nella quale i nostri bisogni fondamentali – di nutrimento, amore, comprensione, assertività, riconoscimento – sono stati spesso frustrati, o non appagati abbastanza, in certi casi addirittura ignorati. Per alcuni di noi certe esperienze vissute da piccoli sono state traumatiche e hanno provocato molta tristezza, o molta paura, o molta rabbia.

La scoperta che il mondo non è il paradiso che ci saremmo aspettati, che i genitori non sono perfetti come immaginavamo e avremmo voluto che fossero, la necessità di difenderci da emozioni dolorose che a volte ci hanno persino sopraffatto e di trovare una strategia per sopravvivere ci hanno indotto ad assumere atteggiamenti e modalità di risposta che, nel corso degli anni, sono diventati ripetitivi, si sono cronicizzati e standardizzati. Da strategie di adattamento più o meno efficaci e funzionali nel momento in cui venivano applicate, si sono trasformate in comportamenti rigidi, non più adeguati alle situazioni del presente o addirittura disfunzionali. Comportamenti che in età adulta interferiscono con le nostre relazioni e non corrispondono alla saggezza profonda del nostro organismo.

Il problema è che, pur essendo disfunzionali, perpetuiamo i nostri comportamenti come se non potessimo farci niente. Chi non ha mai detto, almeno una volta nella vita, «Io sono fatto così, che ci posso fare»? È una delle frasi dietro la quale ci barrichiamo per giustificare, appunto, la non congruenza delle nostre reazioni alle situazioni: che agli altri appare lampante, mentre noi fatichiamo a rendercene conto.

Uno specchio in cui rifletterci

Ecco dunque che il BioEnneagramma® ci fa da specchio: ci mostra quel mix di caratteristiche, quei modi di vedere la vita, di gestire le relazioni, di agire con il corpo e con le nostre energie, che ci contraddistinguono e costituiscono nel loro insieme la “maschera” del nostro essere nel mondo. Una maschera, purtroppo, che noi non vediamo, a meno, appunto, di non intraprendere un percorso di auto conoscenza che ci permetta di avviare una progressiva operazione di dis-identificazione da quella maschera. O, in altre parole, che ci permetta di vedere che possiamo, quando la situazione lo richiede, smettere di indossare l’armatura e aprirci a una relazione più vera e gratificante.

Quanto, allora, dopo esserci riconosciuti in un certo tipo, possiamo lavorare sui nostri aspetti disfunzionali ed eventualmente modificarli? Il bioenneatipo, così come la struttura caratteriale, rimane quello. Ma lavorando su di noi possiamo fare in modo che evolva e diventi più “flessibile”, così come l’armatura caratteriale può a poco a poco aprirsi e renderci più veri, vulnerabili, spontanei. Pur non cambiando tipo, la consapevolezza del nostro carattere ci permette di gestirlo e di poterci esprimere meglio nel mondo e nelle nostre relazioni.

È importante sottolineare, inoltre, che non esiste un tipo “migliore” di un altro, o più fortunato in termini di risorse personali: ogni bioenneatipo vale quanto un altro e nella dinamica del BioEnneagramma® sono tutti ricchi di potenzialità. A seconda della propria evoluzione o involuzione tendono verso un certo tipo di positività o di negatività caratteristiche. Nonostante appaia in genere soprattutto l’aspetto più “nevrotico”, i nove tipi di personalità vanno visti tutti anche sotto l’aspetto di possibili manifestazioni di qualità essenziali, dalla capacità di essere forti a quella di essere creativi, affidabili, o generosi; ogni enneatipo è in grado di mostrare, lavorando su di sé, le potenzialità che, tutte insieme, fanno un essere umano sano. Da personalità nevrotica e disfunzionale, possiamo esserlo sempre meno e arrivare a relazionarci con gli altri in modo sempre più libero.

Infine, riconoscere noi stessi tramite il BioEenneagramma® va di pari passo con la possibilità di riconoscere gli altri, a cominciare da chi ci sta vicino. Questa mappa è infatti utilissima per mostrarci che, a livello emozionale e a livello cognitivo, è come se fossimo tutti imprigionati nel nostro ego, che ci fa vedere la nostra verità come l’unica possibile. E questo, quando entriamo in conflitto con qualcuno, ci fa soffrire perché non solo non capiamo l’altro nella sua verità, ma non ci sentiamo capiti dall’altro nella nostra. Chiusi in una visione del mondo schematica, rigida, per noi incontrovertibile, non riusciamo nemmeno a capire come l’altro non si accorga di quella che per noi è una evidenza.

Acquisire un linguaggio comune

Paradossalmente, se tutti lavorassimo con il BioEnneagramma® e riconoscessimo le nostre caratteristiche acquisendo un codice linguistico comune, ci potremmo rendere conto che, se siamo di due bioenneatipi diversi, è la nostra visione del mondo complessiva che è diversa. E quando siamo in conflitto su qualcosa, questo non comporta necessariamente la volontà di colpire o di ferire l’altro. Semplicemente, noi non lo capiamo e l’altro non capisce noi. Siamo noi stessi i primi a essere prigionieri della nostra inconsapevolezza. Quando lavoriamo sulla consapevolezza, accettare che l’altro abbia una visione diversa del mondo diventa molto più facile, perché va di pari passo con il richiedere all’altro la stessa accettazione nei nostri confronti.

Tra l’altro, pur restando sempre lo stesso bioenneatipo, possiamo “muoverci” un po’ all’interno della mappa del BioEnneagramma®, subendo l’influenza dei bioenneatipi con i quali siamo collegati e di quelli che ci stanno accanto sulla circonferenza che ci contiene. Muoversi lungo queste linee consente a un certo tipo di trarre beneficio dall’energia di un altro, nel percorso verso l’evoluzione; così come può succedere anche il contrario, di rafforzare una nostra tendenza negativa e quindi “peggiorare” la nostra nevrosi.

Approfondire il BioEnneagramma® e i suoi significati, in un processo di trasformazione e autoguarigione, è un lavoro che può durare anni. Ma possiamo utilizzare questa mappa, a un primo livello, proprio per cominciare a lavorare sui conflitti nelle nostre relazioni, cioè sulle esperienze che ci fanno più soffrire. Leggendo un buon libro o partecipando a un corso sull’argomento proviamo come prima cosa a riconoscerci: quale bioenneatipo ci “risuona” di più?

Poi possiamo cominciare a estendere questa ricerca alle persone che ci sono vicine, in primis il nostro partner, cercando insieme di mettere a frutto le possibilità di autoconoscenza che la mappa offre, con l’obiettivo di esplicitare i meccanismi nevrotici che ci bloccano nella relazione o creano più conflitto. In questo modo, il lavoro su di sé si può associare anche a un utile lavoro di crescita in coppia, o addirittura familiare, se ci sono dei figli.