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L’importanza di fare cultura

L’importanza di fare cultura

Counseling e connessioni

Il senso del convegno Stay Tuned

di Alessandra Di Minno

Stay Tuned – la mediazione corporea nella civiltà degli iperconnessi” è il titolo del convegno organizzato da Collage nell’ambito dell’evento Maratona Lowen, una serie di iniziative che si sono svolte dal 17 al 19 maggio 2019 in occasione della presenza di Frederic Lowen, il figlio di Alexander Lowen, in Italia.

STAY TUNED è stato promosso da Collage in quanto contenitore dedicato al counseling, professione con una storia nata dal basso, che ha radici nell’esperienza, e che col tempo si è innalzata, è cresciuta e ha cominciato a mettere foglie e dare frutti.
Nel campo delle relazioni d’aiuto prendersi lo spazio non è semplice, occorre a volte ritagliarselo in mezzo ad altri alberi più grossi, che spesso fanno anche ombra. Per questo il counseling ha bisogno, per continuare a crescere e a svilupparsi, che chi lo pratica si assuma anche una funzione culturale, percorrendo questa traiettoria dal basso verso l’alto, dall’esperienza all’elaborazione cognitiva, per definire ai propri e altrui occhi l’identità di questa professione e per interfacciarsi portando un contributo specifico e differente.
Allo stesso tempo, la psicologia e le psicoterapie – che sono nate, usando questa dimensione verticale, dall’alto – stanno facendo il percorso inverso, dall’alto verso il basso, e per basso intendiamo, di nuovo, l’esperienza e il corpo. Traiettoria inversa, dovuta al fatto che nei loro setting di lavoro incontrano sempre più delle forme di intenso disagio somatizzato. E traiettoria che viene sostenuta e accompagnata anche dalle neuroscienze, che in questi ultimi anni si sono poste accanto alla clinica e sempre più dialogano con chi si occupa di relazioni d’aiuto.
L’importanza di fare cultura
Collage, dunque, ha nelle sue fondamental’intento di formare professionisti che sappiano fare bene il proprio mestiere, avendo una identità chiara della propria professione, ma che sappiano anche prendere a cuore la funzione, insieme alla pratica, di fare cultura.
Perché fare cultura oggi è un’urgenza di per sé, in qualsiasi campo ci troviamo, per sostenere il pensiero libero e critico e la capacità di scegliere e non lasciarsi influenzare.
Un altro valore fondamentale di Collage è quello di muoversi con consapevolezza e competenza dentro i contesti, nel il nostro qui e ora: in questo 2019 a Milano, assumendosi l’impegno di guardare con attenzione e spirito critico i movimenti del contesto.
Ogni cliente che entra nel nostro studio porta con sé tutto il contesto di cui fa parte. Per dirla in modo gestaltico – l’altro approccio, insieme alla bioenergetica, da cui ha origine il nostro modello di lavoro – il cliente è la figura che emerge da uno sfondo e noi abbiamo la responsabilità di relazionarci con questa Gestalt, con questa forma completa.
Osservare il contesto, quindi, per conoscerlo e poter imprimere anche delle piccole pressioni delicate che facciano emergere in figura le risorse e provino a ridurre il disagio. Spinte gentili, potremmo dire, mutuando questa espressione dall’economia (Richard Thaler 2008, premio Nobel 2017).
Il counseling assume una funzione di accompagnamento, che asseconda il movimento spontaneo e propone piccole spinte nella direzione di un maggior benessere e di una maggiore espansione, quantitativa e qualitativa, di sé e delle relazioni.
Relazioni d’aiuto in dialogo
E un altro valore nelle fondamenta di Collage è quello del coltivare un continuo dialogo con le altre relazioni dell’aiuto, per condividere i tratti trasversali e per accostare le prospettive differenti rispetto alle questioni e ai problemi di questo nostro qui e ora, in una logica di scambio e di servizio. Così, a parlare con noi dentro Stay Tuned ci sono due counselor, due psicoterapeuti, due educatori: un docente universitario pedagogista e un media educator.

Il tema della connessione reale e virtuale è un tema fortemente sentito e attuale, tanto quanto evitato e temuto. Laddove si produce la tecnologia, per esempio, ovvero tra gli ingegneri informatici, non ci si sta chiedendo pressoché nulla sulla relazione tra la tecnologia e l’Essere Umano, in senso etico e di prospettive. Dove ci porta tutto questo?

Così ci muoviamo tra voci piene di ottimismo e di speranze e, il momento dopo, prefigurazioni catastrofiche.Il tema si lega al fatto che stiamo attraversando una svolta epocale, segnata dalla sviluppo velocissimo e pervasivo delle nuove tecnologie, che comporta, tra i suoi effetti potenti, un cambiamento di postura dell’essere umano.
Abbiamo tutti presente l’immagine dello sviluppo posturaledell’essere umano, ontogenetico e filogenetico: da una posizione pressoché quadrupede, gradualmente, a quella eretta. Ebbene, l’attuale cambio di postura vede il corpo che torna a piegarsi in avanti, lo sguardo abbassato e non più all’orizzonte, le teste chine su computer e smartphone…
Con tutto quello che comporta sul piano muscolare e motorio: c’è già chi prefigura i problemi di cervicale e cifosi che avranno i nostri figli da adulti. Mentre sul piano percettivo, dei sensi, ci ritroviamo concentrati e catturati alcuni, annebbiati e intorpiditi altri, in una realtà ormai quasi solo virtuale.

E, ancora, sul piano energetico, dobbiamo fare i conti con nuove preferenze (le nuove tecnologie sono competitor accattivanti), nuovi comportamenti, nuovi modi di pensare, di valutare, di decidere e di interagire con i problemi e con le persone. I nostri figli, per esempio, procedono per prove ed errori, come sugli smartphone, non più per step. Non servono più libretti di istruzione: imparano facendo, “smanettando”.
Nuove tecnologie e nuove posture

La nuova postura ha effetti anche nella percezione di sé, come Essere Umano che sperimenta un senso di potenza (e verosimilmente il suo corrispettivo di impotenza) così alto da creare soggetti tanto simili a sé, da essere in grado di interagire con una propria intenzionalità.

Una registra francese, Justine Ermard, ha realizzato un’esperienza di Deep Learning tra uomo e macchina. Nel Deep Learning vengono simulati i processi di apprendimento del cervello biologico attraverso sistemi artificiali – le reti neurali artificiali, appunto – per insegnare alle macchine non solo ad apprendere autonomamente, ma a farlo in modo più “profondo”, su più livelli, come sa fare il cervello umano.
Soggetti in grado di intrattenerci (come al Gran Café di Rapallo, dove i camerieri prendono le ordinazioni e dei robot portano poi la consumazione ai tavoli) e di svolgere al posto nostro tanti lavori.È la nuova potenza umana di creare oggetti che stanno rivoluzionando le nostre vite. Quelli che utilizziamo nel nostro quotidiano, ma anche quelli creati nel campo della domotica o dell’ortopedia.
Per esempio, una persona come Bebe Vio, che tutti conosciamo, grazie a una app installata sul suo smartphone usa delle protesi mioelettriche che le permettono di fare qualsiasi cosa. Ha dieci dita touch screen che sono indipendenti le une dalle altre e praticamente identiche a quelle normali e due elettrodi sull’avambraccio, in prossimità del muscolo flessore ed estensore, da cui parte il comando corporeo di aprire e chiudere la mano.
Ma insieme a tanta celebrata “potenza”, la visione critica, se non catastrofica, ci mostra un essere umano sopraffatto dalla propria stessa tecnologia. Per fare esempi un po’ meno vicini alla nostra quotidianità, dove possiamo peraltro anche noi sperimentare certi effetti disfunzionali, robot simili a quelli che fanno i camerieri sono soldati pronti a fare le guerre al posto nostro. E oggi si parla di algoritmi in grado di dare una vita emotiva a questi insieme di parti meccaniche ed elettriche…
Ma i “social” ci offrono ulteriori spunti drammatici.
Pensiamo al caso, riportato qualche mese fa, di una ragazzina malese di sedici anni che aveva lanciato un sondaggio su Instagram chiedendo con urgenza delle risposte. “È davvero importante. Aiutatemi a scegliere: vita o morte?” Il 69% dei suoi fan ha cliccato D. Death. E la ragazzina ha eseguito alla lettera: si è tolta la vita.
Di fronte alla richiesta contorta di una prova di affetto, basta un minimo gesto con un pollice e si invita un altro essere umano a morire.
Quindi il tema scelto da Collage nasce da un’urgenza, l’urgenza di non perdere la nostra consapevolezza e l’intenzionalità, pur in questa postura inedita. Un tema che incontra e stimola il nostro approccio a mediazione corporea. Il titolo del convegno, Stay Tuned, sottintende una parola forte e importante: connessione. Una parola che ha a che fare con relazione, con contatto.
Nel nostro modo di lavorare interpretiamo approcci che pongono al centro la connessione. Le domande che abbiamo messo al centro nel nostro convegno sono dunque: Che cos’è la connessione? Può avere significati diversi? E quali? In che modo possiamo dialogare e non disperdere le potenzialità di questa nuova e prorompente connessione tecnologica, preservando l’altra, l’ineludibile connessione biologica e relazionale?