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Mai dire mai

Riflessioni su una unione civile

Mantenere viva la meraviglia crescendo come persone

di Alessandra Callegari

Mancano due giorni al mio “matrimonio” (in realtà per legge si chiama “unione civile”, ma di fatto è un atto pubblico, istituzionale, di impegno fra due persone che decidono formalmente di essere partner a tutti gli effetti davanti al mondo e nel mondo, dunque un matrimonio) con Alessandra, mia compagna di vita da tre anni, con la quale convivo da allora.

Chi mi conosce da tempo sa che, per sessant’anni, ho avuto rapporti d’amore con uomini, e sempre di uomini mi sono innamorata, mai immaginando che avrei potuto innamorarmi di una donna.

Invece è accaduto. Mi sono innamorata di una donna. O meglio, mi sono innamorata di una persona che incidentalmente è donna. Una persona del mio stesso sesso.

Come è possibile? mi ha chiesto a suo tempo qualcuno (forse se lo sono chiesti tutti, ma solo qualcuno ha esplicitato il proprio stupore). È possibile, evidentemente…! ho risposto io, anche se non so dire ancora oggi come sia accaduto.

Io per prima, fino a quattro anni fa, non lo avrei mai creduto possibile.

Eppure, il sentimento che è emerso, si è sviluppato ed è cresciuto dentro di me, fino a palesarsi come tale, è stato di amore, non solo di amicizia, come invece era accaduto nella mia vita con altre donne, che tuttora sento “amiche” e per le quali nutro un affetto profondissimo.

Che cosa mi ha portato ad “amare” una donna, al punto di sentirmi in grado di starle accanto da partner e volerla al mio fianco da partner?

Non lo so. Mi riesce difficile ancora adesso, a distanza di tre anni, spiegarlo a parole.

Forse perché l’amore è ineffabile, è indicibile, è inspiegabile se non nelle proprie manifestazioni. Ma il “cuore” – il core, il nucleo, l’essenza profonda – di questo sentimento così specificamente umano resta insondabile e intrasmissibile.

Una persona del mio stesso sesso vuol dire un universo con il quale condivido, per molti aspetti, una visione simile della vita, una visione del mondo al femminile. Ma prima, per sessant’anni, ho condiviso anche lunghi pezzi della mia vita stando accanto a uomini (con due dei quali, per di più, mi sono sposata), portatori dunque di una visione del mondo maschile, e stavo benissimo. Non è dunque perché “non mi piacciono più gli uomini”, non è perché “sono passata dall’altra sponda”, non è perché mi sono scoperta “femminista”, non è perché “ce l’ho con i maschi”… Nulla di tutto questo.

Scrivo queste righe per testimoniare – e per questo lo faccio pubblicamente, per chiunque voglia leggerle e trarne spunto di riflessione – che l’essere umano ha una straordinaria capacità di amare. E l’amore è Altro rispetto a qualsiasi nostro pre-giudizio o pre-concetto, a qualsiasi nostra pre-disposizione.

So perfettamente che è tutt’altro che scontato. Per molte persone – qualcuno me lo ha detto esplicitamente e apprezzo la sincerità con cui me lo ha verbalizzato – l’amore tra due donne (così come quello tra due uomini) è ancora difficile, se non impossibile, da accettare. E ancora più difficile è accettare che venga istituzionalizzato.

Accetto, per parte mia, che ci siano visioni diverse del mondo… e quindi anche questa. Accetto meno che in nome di una visione diversa non sia permesso a chi è percepito come diverso dalla maggioranza di vivere pienamente la propria vita di coppia.

Per questo l’unione che celebreremo con Alessandra sabato 4 marzo ha per me – per noi – non solo un valore personale e privato di impegno reciproco, ma anche di presa di posizione e testimonianza sociale e direi politica, nel senso che attribuisco a questo termine: che deriva da polis e quindi ha a che fare con la comunità, ha valore civile, comunitario, pubblico (e, di nuovo, chi mi conosce bene sa quanto valore io dia all’aspetto sociale della mia vita, alle mie relazioni comunitarie).

E poi c’è anche un aspetto legato al rendere testimonianza dell’importanza di MAI DIRE MAI.

Lo scrivo in maiuscole, perché questa parole hanno per me un valore grande, non sono un modo di dire. Mai dire mai vuol dire aprirsi alle infinite possibilità che l’esistenza offre, alla vita nelle sue infinite sfumature. Alla sorpresa, alla meraviglia.

Essere in grado di sorprendersi: questo credo sia uno dei traguardi (insieme a molti altri) del nostro crescere come persone. Mantenere viva in noi la capacità di stupirci, non dare nulla per scontato. Aprirci alla possibilità di cambiare, di trasformare, di rimettere in questione, non cristallizzandoci nel giudizio e nella rigidità.

La rigidità assoluta è propria della morte, diceva saggiamente Alexander Lowen, il padre della bioenergetica. E la vita è flessibilità, movimento. La vita è divenire. Essere e Divenire sono i poli entro i quali giochiamo continuamente la nostra esistenza e la nostra riflessione su di essa.

Mi sento viva, a quasi 63 anni, e molto molto molto fortunata.

È un’occasione, questa, di bilanci. E il bilancio che sento di fare della mia esistenza è meravigliosamente positivo. Ho conosciuto, ho scoperto, ho viaggiato, ho incontrato mondi, ho sofferto ma soprattutto ho amato. Ho fatto esperienze e mi ritrovo ancora l’entusiasmo per farne altre, il coraggio di mettermi in gioco e l’energia fisica e mentale per sostenermi nel farlo. Per questo mi sento fortunata.

Ringrazio chi mi è stato vicino e ha condiviso momenti della mia vita. Ringrazio chi mi ha amato e ancora mi ama, essendo riuscito a trasformare il proprio sentimento. Ringrazio anche chi ha preso strade diverse… i cammini si intrecciano e non si può mai dire con certezza dove ci porteranno.

E poi… c’è un altro valore da celebrare sabato 4 marzo 2017.
Il valore della genitorialità. Il valore dei figli. Il valore dei bambini.

Alessandra ha due figli, gemelli, un maschio e una femmina, di nove anni e mezzo. Io sono entrata nella loro vita e mi hanno accolto con la forza, l’entusiasmo e la spontaneità che forse solo i bambini sanno avere. Con la generosità di chi non ha pregiudizi né preconcetti. E grazie a loro sto imparando tante cose su di me e sulla vita.

Anche questo era tutt’altro che scontato. Non ho avuto figli miei, non ho praticamente frequentato bambini per sessant’anni se non in rarissime occasioni (anche la maggior parte delle mie amiche non ha figli) e non sapevo davvero che cosa volesse dire essere genitori.

E ancora non lo so, o lo so molto poco, e capisco comunque che tra genitori biologici e genitori sociali c’è una grande differenza. Ma piano piano, faticosamente, sto imparando che cosa vuol dire vivere con dei bambini. Con degli esseri umani che hanno – per definizione, per ruolo, per diritto, per status – più diritti. Ancora più diritti degli adulti: a essere ascoltati, stimati, valorizzati, compresi… dagli adulti.

E sto imparando com’è faticoso starci dentro, avendo così poca esperienza, avendo per giunta come unico riferimento la mia personale e specifica esperienza di figlia, di bambina, ma con tutt’altra storia e tutt’altro carattere.

E piano piano scopro i miei limiti, la mia ignoranza, la mia vulnerabilità. E scopro quanto ho da lavorare, più ancora che sulla relazione di coppia, su questa relazione così speciale che è quella con due bambini che rappresentano un universo sconosciuto e affascinante. Un universo al quale avvicinarmi con ancora più “meraviglia”.

Perché scrivere queste cose – così private, in fondo… – e renderle pubbliche?

Perché oggi è possibile – e a questo, credo, serve uno strumento come il web – condividere e trasmettere e testimoniare in diretta una propria riflessione sul senso della vita e permettere agli altri di accoglierla o meno, di confrontarsi ed eventualmente di rispondere, creando un dialogo che in ogni caso può aggiungere senso e quindi ricchezza.