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Auroville, l’utopia realizzata

Auroville, l’utopia realizzata

Uno spazio universale

La città indiana voluta da Sri Aurobindo e Mère

di Alessandra Callegari

(articolo pubblicato sul mensile Yoga Journal, dicembre 2007; foto del Matrimandir di Manohar Fedele)

Auroville

Strade di terra battuta rossa e sentieri che s’immergono in una fitta boscaglia, qualche palo della luce, pochissimi segnali stradali: questo è il primissimo biglietto da visita quando con il taxi arrivo ad Auroville da Chennay (ex Madras) un venerdì di fine agosto, dopo un viaggio di 160 km in circa tre ore (una solo per uscire dalla caotica Chennay). Il taxista non è mai stato qui e fatichiamo a trovare il Visitor Center, centro d’accoglienza dei visitatori, al quale pare gli “estranei” debbano fare riferimento. Chiedo della Center Guest House in cui ho prenotato una camera per una settimana, e un addetto all’ingresso mi spiega come arrivarci con il taxi. Sono quasi le sette di sera, è ormai buio ma non posso non vedere il gigantesco albero di banyano pieno di liane cadenti che troneggia in mezzo al cortile, circondato dalle villette a due piani con le camere. Il tempo di una doccia, di una cena veloce a base di riso, verdure speziate, yogurt, e alle nove e mezzo sono a letto, così stanca che rinuncio ad avventurarmi fuori.

Mi sveglio presto e dopo colazione parto alla scoperta di Auroville. Ci sono arrivata per curiosità, spinta dai racconti di alcuni amici che ci vengono da anni e ne dicono meraviglie. Mi sono documentata su alcune guide e ho cercato di non farmi influenzare dall’esordio poco invitante della Rough Guide: “Il posto più new age di tutta l’India è certamente Auroville, concepita come ‘città dell’alba’… “ In realtà prende il nome dal maestro indiano Sri Aurobindo Ghose (1872-1950) e s’ispira alla visione di Mère, la Madre (la francese Mirra Alfassa, 1878-1973), che dal 1926 in poi fu accanto al maestro, ne diresse l’ashram a Pondicherry e ne continuò la ricerca spirituale. “Per il poco che c’è da vedere” continua impietosa la guida “Auroville attira un numero spropositato di gitanti…” Eppure i miei amici mi hanno raccontato di averci passato intere settimane e di non essersi annoiati un momento. Mi hanno persino fornito il numero di telefono di un paio di italiani da contattare, per non sentirmi sola…

Matrimandir Auroville

Mi sono fatta dare una mappa della città: per arrivare al centro visitatori devo solo andare a destra, poi la prima a sinistra, poi a destra, poi a sinistra… semplicissimo, mi assicurano. In effetti non è difficile, ma il paesaggio è tutto uguale: la vegetazione è così lussureggiante che non si vedono case, se non nascoste nel verde e molto distanziate l’una dall’altra. A parte l’unica strada asfaltata che porta al Visitor Center arrivando da Pondicherry e dal mare, tutte le vie di Auroville sono piste di terra, battute per lo più da mezzi a due ruote. Stranamente sono l’unica persona a piedi. Mi passano accanto motorini e bici, qualcuno si volta a guardarmi sorridendo, un giovane indiano in Vespa mi propone persino un passaggio.

Il Centro Visitatori è un complesso di edifici moderni che ospitano un bar caffetteria, un paio di negozi di souvenir e vestiti, una libreria con libri di e su Aurobindo, alcuni uffici e un centro informazioni al quale è indispensabile rivolgersi per capire cosa fare e come muoversi.

Un ampio salone è dedicato a Sri Aurobindo e a Mére, con pannelli ricchi di fotografie dei maestri e grandi scritte con frasi estrapolate dalle loro opere.  “Auroville non appartieme a nessuno in particolare. Appartiene all’intera umanità. Ma per vivere ad Auroville ognuno deve voler servire la Divina Coscienza.“ Impegnativo: la visione di Mère di una città di tutti e di nessuno, in cui l’umanità possa realizzare l’unità nella diversità sembra pura utopia. Ma è un’utopia realizzata, visto che esiste – e resiste – da quarant’anni.

Un video ben fatto illustra la storia della città e dei suoi abitanti – gli aurovilliani, attualmente 2.000, metà indiani e metà di tutto il mondo, ma in prospettiva fino a un massimo di 50.000 – dal 1968 a oggi, mostrando i progressi compiuti da quando i “pionieri” cominciarono a lavorare su quella che allora era una landa desolata di terra rossa. Oggi quella terra è coperta dalla foresta tropicale, con alberi alti come palazzi su cui si rincorrono irrequieti scoiattolini, gigantesche jacarande dai fiori vermigli, buganvillee viola che s’intrecciano sui tronchi delle palme a dieci metri d’altezza.

Una cartina gigantesca m’invita a fantasticare: mai vista una città così. Auroville è rotonda, proprio disegnata a compasso, ed è formata da due cerchi concentrici, la City Area, con un raggio di un chilometro e 250 metri, che ne è il “cuore” e la Green Belt o cintura verde che si estende intorno a raddoppiare il raggio, con insediamenti molto più radi, una serie di villaggi tamil, gli indiani locali, e vasti campi coltivati. Le abitazioni – raccolte in “quartieri” dai nomi evocativi: Trasformazione, Gioia, Pace, Sincerità, Gratitudine, Avventura… – sono sparse in modo irregolare in tutta l’area. Alcune aree specifiche ospitano edifici adibiti a servizi: uffici amministrativi, scuole di ogni grado, palestre, auditorium, centro congressi, alcuni bar-ristoranti.

Matrimandir Auroville

Al centro, il cuore di Auroville, verso il quale tutto sembra convergere: il Matrimandir o “tempio della madre”, simbolo dell’aspirazione verso il Divino. Posto in mezzo a un vasto spazio aperto di forma ovale che comprende anche un anfiteatro a gradoni e un gigantesco banyano (che è il vero centro geografico della città, e come tale scelto da Mère), il Matrimandir, che racchiude la “camera interna” dove gli aurovilliani vanno a meditare, è l’edificio più noto e controverso di Auroville e costituisce la sua vera attrazione “turistica”, anche se gli abitanti inorridiscono alla sola idea e proprio per questo obbligano i visitatori a una sorta di “percorso iniziatica” per visitarlo.

Il Centro Visitatori è perciò tappa obbligata anche e soprattutto perché solo qui si ha la possibilità di prenotarsi per le visite guidate per “stranieri”, che si svolgono a piccoli gruppi, ogni pomeriggio tra le 16 e le 18, dal lunedì al sabato. Mi prenoto… ma poiché è sabato e il gruppo è già pieno devo aspettare, appunto, il lunedì. Nel frattempo mi posso consolare con la proiezione di un breve video che spiega come è stato costruito il Matrimandir e tutt’al più dargli un’occhiata da fuori, dai giardini.

Le foto e il video che me lo hanno mostrato, simile a “un incrocio fra una gigantesca palla da golf dorata e un progetto spaziale della NASA”, come recita la Lonely Planet, non bastano a soddisfare la mia curiosità, perciò m’incammino lungo la strada principale. Cartelli non ce ne sono, ma seguendo la piantina non si può sbagliare. Arrivo alla prima cancellata della zona che racchiude il sancta canctorum ma la vegetazione è troppo fitta. Dalla seconda s’intravede qualcosa, la terza è finalmente l’ingresso principale. Una guardia mi avverte che non posso entrare senza pass, ma gli chiedo di poter dare almeno un’occhiata da lontano e s’impietosisce.

A circa duecento metri di distanza, oltre i giardini che sono ancora in fase di realizzazione, ecco l’immensa, bizzarra struttura, alta trenta metri e coperta da strane parabole dorate, che emerge come un frutto da una corolla di dodici “petali” di terra rossa. Impressionante, non c’è che dire. Devo pazientare: il percorso iniziatico, mi pare di intuire, è già cominciato.

Lunedì alle 15,30 sono la prima al cancello con il mio pass. Via via arrivano altri “visitatori” come me, alcuni indiani. Alle 16 in punto una giovane donna dall’accento americano ci raduna e ci ripete le istruzioni: niente foto, rimanete in gruppo mentre ci avviciniamo, una volta dentro potrete stare nella camera interna solo per 15 minuti, in assoluto silenzio, per favore spegnete i cellulari. Quasi intimorita mi accodo alla guida e via via che mi avvicino alla grande palla dorata provo un misto di rispetto e di timore. All’ingresso ci aspetta un’altra guida che ci fa consegnare le borse e, varcata la soglia dell’edificio, una terza ragazza ci consegna dei calzini bianchi che ci prega di indossare. Entriamo in una specie di grande atrio bianco da cui partono due rampe circolari. Io sono la prima del gruppo e vengo invitata a salire lungo una rampa, a passi felpati, su una moquette bianca. In corrispondenza del piano superiore c’è un altro ingresso e un’altra ragazza mi apre piano la porta.

Matrimandir Auroville

Entro… e provo come la sensazione di essere avvolta nella nebbia. Faccio qualche passo e mi siedo, come mi è stato detto di fare, su uno dei cuscini predisposti per terra. Poco per volta capisco che la nebbia è solo l’effetto dello strano chiarore della stanza: una camera circolare tutta di marmo, con il pavimento coperto di moquette immacolata, al centro una sfera di purissimo cristallo di 70 centimetri di diametro, e intorno dodici colonne che arrivano al soffitto, dalla cui apertura centrale a 15 metri entra un raggio di luce che va a colpire la sfera creando intorno una luce soffusa.

Rimango senza fiato. Intorno a me la ventina di persone del gruppo entra e si siede, tutti in perfetto silenzio, quasi trattenendo il respiro. Non ho mai sentito un’energia così. Quando tutti si sono accomodati la porta si chiude e restiamo muti, affascinati da quella sfera di cristallo che può rappresentare tutto e il contrario di tutto e proprio per questo può anche essere Dio. Quasi mi spiace chiudere gli occhi, fissare la sfera è come fare un salto nel vuoto, un’attrazione fatale. Ma se li chiudo sento ancora di più l’impercettibile leggerezza del nulla in cui mi pare di fluttuare.

Il quarto d’ora concessoci sembra eterno e istantaneo. Quando la porta si riapre ci snoccioliamo lungo la rampa d’uscita come in trance. Siamo invitati a visitare, se lo desideriamo, anche due delle piccole salette di meditazione che si trovano nei dodici “petali” intorno, ognuna dedicata a una qualità dell’Essere, ognuna di un colore diverso. Esito perché mi sento già “piena”, ma la curiosità è troppo forte. Sono aperte Pace e Sincerità, rispettivamente blu scuro e blu chiaro. Le “provo” entrambe, lasciandomi avvolgere dall’atmosfera rarefatta e ipnotizzare dal quadro astratto luminescente che è il punto focale della stanza. Ho tempo, in queste salette si può restare fino al tramonto.

Quando esco, infatti, il sole sta calando da dietro il banyano. Mi porto ancora dentro il silenzio e decido di sedermi sotto la sua chioma, una tettoia di oltre trenta metri, sorretta da liane così grosse da formare una dozzina di veri e propri pilastri di legno: un incredibile parco dei divertimenti per gli scoiattolini locali, un’incredibile sala di meditazione all’aperto per gli umani. Ad Auroville c’è poco da vedere, dicono le guide. Forse, ma l’invito è a sentire. Nei giorni che mi sono rimasti, al di là degli incontri con almeno una ventina di uomini e donne straordinari che hanno scelto di vivere in questa utopia realizzata, sono sempre andata lì a meditare. E ne è valso il viaggio.