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Ma cosa stai dicendo!

Ma cosa stai dicendo!

Il gioco degli equivoci

Quando la comunicazione disfunzionale mette in crisi le relazioni

di Alessandra Callegari

“Ma cosa stai dicendo!” Quante volte ci siamo sentiti rivolgere questa frase, in privato o in pubblico, in uno scambio con il partner, durante una riunione di lavoro, in occasione di un incontro di famiglia, o a una cena tra amici (è il titolo del film da cui è tratta la foto)?

Quante volte ciò che diciamo, sia per le parole che usiamo, sia per il modo in cui le pronunciamo, genera equivoci, suscita incomprensioni, avvia discussioni e litigi?

E quante volte questo accade al di là della nostra volontà, senza l’intenzione di provocare, anzi nella convinzione di essere chiari, di esserci spiegati bene, di aver espresso la nostra opinione al di là di ogni possibile fraintendimento? Al punto che la domanda dell’altro – Ma cosa stai dicendo? -, con il suo carico di sorpresa, irritazione, ansia, delusione, ci lascia confusi e spiazzati?

Eppure… lo abbiamo sperimentato spesso: il gioco degli equivoci è sempre in agguato. Nel campo relazionale che si crea quando parliamo con qualcuno – in un incontro one-to-one e, a maggior ragione, in gruppo – entrano in gioco tutte le “trappole” della comunicazione. E se è sempre vero che comunichiamo tutti i giorni, con qualsiasi persona, più o meno consapevolmente, attraverso parole e gesti, per descrivere fatti ed eventi, per intraprendere relazioni sociali e suscitare emozioni (anzi, per dirla con Paul Watzlawick, non possiamo non comunicare), è indubbio che nella comunicazione interpersonale, che ha come protagonisti due o più individui che interagiscono all’interno di un sistema circolare, molto spesso non ci rendiamo conto di quanto ci influenziamo reciprocamente.

Ecco perché è fondamentale essere consapevoli di alcuni elementi della comunicazione, senza i quali rischiamo di essere totalmente inefficaci rispetto a ciò che vogliamo trasmettere.

Innanzitutto ci deve essere chiaro che anche i silenzi comunicano: l’indifferenza e l’immobilità sono comunque forme di comunicazione, perché veicolano un significato: stiamo infatti inviando il messaggio di non voler comunicare.

Comunicazione verbale, non verbale e paraverbale

Se poi comunichiamo verbalmente, scegliendo le parole e la costruzione logica delle frasi secondo le strutture grammaticali e sintattiche della nostra lingua, questa comunicazione verbale è sempre accompagnata da quella paraverbale, cioè dal modo in cui esprimiamo qualcosa: voce (tono, volume, ritmo), pause, silenzi e altre espressioni sonore; e poi dalla comunicazione non verbale, ovvero tutto quello trasmettiamo attraverso la postura e i movimenti, la posizione che occupiamo nello spazio, gli aspetti estetici: mimiche facciali, sguardi, gesti, andature e abbigliamento. E proprio non verbale e paraverbale sono fondamentali, perché inviano messaggi spesso inconsapevoli e di tipo emotivo.

A questo proposito, è interessante osservare che il flusso comunicativo è espresso secondo la punteggiatura degli eventi, ossia dalla sequenza che diamo ai messaggi nostri e altrui: a seconda della “punteggiatura” che usiamo, cambia il significato che diamo alla comunicazione e alla relazione. Quante volte, in una relazioni conflittuale, riteniamo che sia in torto sempre e solo l’altro e tendiamo a credere che l’unica versione possibile dei fatti sia la nostra, perché osserviamo la situazione esclusivamente dal nostro punto di vista, usando cioè la nostra punteggiatura e non riuscendo a cogliere quella dell’altro?

Tutta l’informazione che ci arriva dall’altro viene filtrata sulla base delle nostre esperienze, delle conoscenze che abbiamo acquisito e delle nostre caratteristiche personali, ovvero della nostra struttura caratteriale, al punto che una stessa parola, anche generale e comune come amore, giustizia, verità o fiducia, può avere significati molto diversi per noi e per l’altro.

La comunicazione è il cuore della relazione

Non solo. All’interno di ogni comunicazione si può individuare un primo livello, quello del contenuto, relativo al che cosa stiamo comunicando; e un secondo livello, quello della relazione, che indica il tipo di relazione che vogliamo instaurare con l’altro. Quindi non è importante solo il significato del messaggio in sé, ma anche come vogliamo essere compresi quando parliamo e come pretendiamo che gli altri ci capiscano.

Infine, ogni comunicazione comporta un aspetto di meta comunicazione che esprime la relazione che intercorre tra chi comunica e chi è oggetto della comunicazione e la posizione di eventuale leadership assunta durante la conversazione. Si ha infatti un’interazione simmetrica quando gli interlocutori si considerano sullo stesso piano e quindi di pari livello, mentre l’interazione è complementare o asimmetrica quando gli interlocutori non si considerano sullo stesso piano e uno dei due si mette in una posizione di superiorità (one-up) con l’altro in posizione subordinata (one-down)… il che comporta notevoli criticità nel rapporto di coppia o tra degli amici.

La comunicazione è dunque un processo molto complesso, molto più di quanto immaginiamo, e questo spiega le difficoltà che incontriamo nelle relazioni di tutti i giorni. Come fare allora per evitare il gioco degli equivoci e avere comunicazioni più sane e più appaganti? E come fare, soprattutto, a comunicare in maniera efficace in ambito professionale, se il nostro lavoro ci mette ogni giorno in condizione di incontrare persone con le quali dobbiamo poter instaurare delle buone relazioni interpersonali, inviando e ricevendo continue comunicazioni senza equivoci, incomprensioni o conflitti?

Per chi vuole imparare a comunicare c’è la possibilità di acquisire gli strumenti adatti lavorando su di sé in modo mirato, per acquisire maggiori competenze relazionali: imparando a parlare e a proporre il proprio punto di vista con un atteggiamento di reale empatia e ascolto dell’altro, con la dovuta attenzione al linguaggio corporeo, proprio e altrui, e a ciò che trasmette, con la capacità di gestire le proprie emozioni accogliendo le reazioni del ostro interlocutore senza farsi agganciare.

Oggi, tutto questo è possibile seguendo un corso di formazione in competenze di counseling, studiato proprio per chi vuole operare un cambiamento incisivo nel proprio modo di stare in relazione con gli altri.