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Sorridere ai morti ci fa bene

Sorridere ai morti ci fa bene

Una riflessione sui genitori

Un viatico per il due novembre

per ricordare con amore e leggerezza

di Alessandra Callegari

2 novembre. penso ai miei (ai nostri) morti…

il 31 luglio del 2005 alle ore 14 moriva mia madre. a 500 chilometri da Milano e da me.

ultimo “pezzo vivo di me”, carne della mia carne, sangue del mio sangue…
anche se di solito si dice al contrario, sento che era così.

ricordo il come: l’arrivo a sera, l’incontro con il suo secondo amatissimo marito, incapace di esternare i propri sentimenti; il vederla sul letto d’albergo così come si era addormentata ore prima, la testa reclina in un sonno congelato; e gli uomini che la vestono con malagrazia e di soppiatto la portano via in un sacco nero, per non turbare la quiete vacanziera degli altri ospiti…

quel come mi aveva impietrito e resa anch’io incapace di lacrime.

***

dopo, e per sempre, è cambiato il mio panorama interiore.
già da quella notte mi sono vista in un “per sempre” diverso. intorno, o meglio dietro sopra e sotto, un vuoto nero, buio, privo di sostanza.

il senso che “dietro”, per appoggiarsi, non c’era nulla. e che era diverso da quel “non c’è mai stato” di prima. ora era reale. prima l’equivoco. ora la realtà.

e io lì, appoggiata al nulla. o meglio, “non appoggiata” al nulla. in piedi a reggermi da sola, come sempre, non solo nell’illusione nevrotica del mio enneatipo ma questa volta davvero, perché non c’era più nessuno cui appoggiarsi, anche volendo.

lei, la mamma, era l’ultimo “pezzo di carne viva” del mio dna. papà non c’era più dall’83, fratelli o sorelle nessuno, l’unica nonna conosciuta e amata morta nel ’76.

“i genitori non muoiono mai” mi ha detto un giorno un amico.
è vero. per questo bisogna accettarne la morte prima che accada. e per farlo bisogna accettarne la vita, ovvero riceverla come un dono… e vedersi in quel dna condiviso, in quelle cellule vibranti, anche se vibrano a una velocità diversa, anche se parlano un codice diverso.

ogni codice, per quanto indecifrabile ci appaia, è un codice d’amore. quando arriviamo a sentirlo, siamo salvi. possiamo passare il testimone.

***

ringrazio chi mi ha permesso di sentire il vuoto, di starci senza caderci dentro. quel vuoto in qualche modo c’è sempre, ma non è pauroso. è come un memo. è lì che andrò anch’io, che andremo tutti.

il “vuoto fertile” forse è anche questo. impariamo a conviverci, a non temerlo, a farcelo amico. a sentirlo da vivi pieno di promesse, di desideri e di sogni, e a sentirlo nei nostri morti, come viatico per quando anche noi saremo là, sopra o sotto o da nessuna parte.

appoggiata al nulla, in piedi, sono da allora sempre lì, al limitare. ho le braccia aperte. non a croce: non è un “sacrificio”. le mie braccia sono morbide, in un gesto di accoglienza e protezione.

e ho le ginocchia flesse, come ho imparato; il ventre rilassato e un po’ appesantito con l’età; il viso che via via si segna ma mantiene, credo, il sorriso…

***

sorrido a mia madre e a mio padre, ai miei morti, a tutti i nostri morti.
sorridere ai morti ci fa bene.

è il mio viatico per il giorno dei morti…